Il Mulino Bianco e la guerra della munnezza

Sono una maniaca del controllo. Da sempre.

nevrotico

Come tutti i nevrotici ho passato buona parte della mia esistenza a creare piccoli rituali che mi dessero l’illusione di poter prevedere sempre quello che stava per succedere. Se mangio dell’uva, preferisco terminare con un numero di chicchi dispari. Se cammino
su delle piastrelle, istintivamente ci vedo un percorso a ostacoli con zone sicure e altre assolutamente da non calpestare. Faccio le spese sempre negli stessi negozi, e se devo entrare in uno di quelli in cui “non ho mai osato” perche` è tardi, piove, ed è l’unico aperto, soffro. Il ventitré è un numero che mi mette in allerta mentre quindici, trentuno, settantuno e centoventuno mi calmano. Se non fossi anche uno degli esseri più inquieti e imprevedibili che conosca sarei, per dirlo alla Paolo Fox, una vergine nata sotto il segno dell’acquario. Lo so, vivere così è una faticaccia, ma ho un disperato bisogno di certezze e in quanto tale, la mia nevrosi viene difesa con le unghie e con i denti. Sarà pure un punto fermo di merda -la nevrosi dico- ma da qualche parte si deve pure cominciare. E se ha ragione il buon De Andre che dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fior non sono neanche messa poi così male. Sta di fatto che ho iniziato a parlare di nevrosi per raccontarvi quanto importante sia per me avere una casa confortevole e sono finita a parlare di merda come metafora esistenziale. Non male. Comunque vista la qualità delle esperienze immobiliari collezionate sull’Isolachenonce -di merda, appunto- posso tranquillamente dire di aver trovato, nella merda, un fil rouge alternativo a tutta questa storia. Ma torniamo a monte del discorso. Si diceva che di avvenimenti tragicomici correlati all’abitare ne ho da vendere. Questa volta voglio raccontare di quando io e Cosone ci siamo fissati con l’idea di una casa col giardino.

Si parla di circa due anni fa. All’epoca il gatto psicopatico ci aveva già adottati e noi a quel punto volevamo anche il cane. A pensarci bene mi chiedo su quali basi, dato che al tempo anche se il locale andava veramente molto bene non ci fermavamo mai: da martedì a sabato passavo 12 ore ai fornelli cucinando assaggi di cucina italiana, mentre il lunedì c’era la serata di musica dal vivo con jm session che duravano ore. Nottate in cui Cosone era felicissimo ma che si concludevano a orari immondi. Tutto bello, bellissimo, per carità, ma la domenica bastava appena a riprendere fiato, figuriamoci se avevamo bisogno di un giardino da curare.

cleveland-brown

Ma eravamo inebriati dalle novità e dal successo della nostra impresa oltreoceano e quindi giardino, giardino, giardino. Dopo una breve ricerca ci siamo – disgraziatamente – imbattuti nei cloni di Loretta e Cleveland Brown; e che fossero i sosia della coppia meno sveglia tra i personaggi dei Griffin a noi non ha suggerito nulla perché Loretta se la tirava un casino con la sua – sedicente – brillante carriera nel real estate newyorkese e i suoi progetti di ristrutturazione, e noi ci volevamo credere. Così quando siamo andati all’appuntamento per vedere una casa e ci siamo trovati davanti a una isba che manco Baba Yaga nella steppa della Russia, invece che scappare agambelevate – cosa sulla quale avevamo una certa esperienza, per altro -, abbiamo iniziato a immaginare. E l’abbiamo fatto così bene che alla fine abbiamo – non ripeterò mai abbastanza volte, DISGRAZIATAMENTE – firmato un contratto d’affitto certi che una volta terminati i lavori di restauro, la baracca si sarebbe trasformata se non in un castello, quanto meno in posticino accogliente. Ma è piuttosto chiaro che all’epoca non avessimo un’idea precisa di cosa sia lo standard abitativo accettabile sull’Isolachenonce. Quando siamo arrivati al giorno del fatidico trasloco abbiamo scoperto, tra le tante cose che:

  • La porta di casa non aveva una serratura e si chiudeva con un lucchetto da bicicletta
  • Le piastrelle in cucina e in salotto erano state posate attorno ma non anche sotto ai mobili (effetto tappeto)
  • I mobili non c’erano e se c’erano cadevano a pezzi (la perla è che per occultare lo stato disastroso di pensili e armadi, tutto era stato ricoperto con carta da pacchi fermata, quando andava bene, con nastro adesivo)
  • Il pavimento in camera da letto non era stato cambiato ma riverniciato senza prima aver lavato per terra come si poteva evincere dalla zampa di cucaracha sempiternamente smaltata nel centro esatto della stanza (per fortuna che poi il pavimento è crollato, e così almeno lo scarrafone se lo semo levati, ma questa é un’altra storia)
  • Sempre in camera da letto c’era un buco sul soffitto che dava libero accesso a casa a Raffaello il Pipistrello (e comunque di buchi ce ne dovevano essere tanti altri vista la quantità di tarantole e scorpioni che abbiamo collezionato nel nostro soggiorno in quella che a me piace ricordare come La Casa di Shining)
  • E infine, drammaticamente, che tutto questo, per i nativi, é accettabile.

Di fronte a cotanto abominio domestico due qualsiasi individui normodotati avrebbero fatto una chiamata a Ms. Loretta Brown, si sarebbero fatti restituire la caparra e se ne sarebbero andati altrove. Noi no, e sempre per quella stramaledettissima mania di immaginare un giardino fiorito e un orto rigoglioso, abbiamo ricostruito mobili, ridipinto muri e zappato la terra. E qui viene per me una delle parti più esilaranti di tutta la faccenda, perché cari miei, i roghi di munnezza non si accendono solo nella terra dei fuochi. Qui sull’Isolachenonce, per esempio, si segue generalmente questa prassi: prima si lanciano in giardino tutti i rifiuti indistintamente – dai pacchetti vuoti di patatine ai pannoloni sporchi, passando per le infradito spaiate per arrivare alle lattine di birra -, poi quando non si riesce nemmeno più a camminare, si raccoglie tutto, si fa un bel falò e quello che non brucia lo si sotterra. Che poi se il terreno è in pendenza questa risulta anche una tecnica gettonatissima per livellare il suolo. E dalla quantità e dalla dimensione dei reperti ritrovati prima di gettare la spugna e cercare un’altra sistemazione, posso affermare con una certa sicurezza che il nostro giardino doveva essere molto pendente altrimenti proprio non mi spiego la `presenza di un telaio intero di bicicletta, di un condizionatore, e di un motore da barca. A pezzi. ikea-garden-gnomes-coverAd ogni modo la nostra solerzia nella cura del giardino (che nel frattempo era stato recintato) non é piaciuta ai vicini, che si trovavano improvvisamente privati di spazio da riempire (di munnezza) e del libero accesso all’albero di mamones (una varietà locale del licis che però fa moderatamente schifo) che cresceva proprio davanti alla finestra del salotto. E così è iniziata una lunga guerra combattuta, naturalmente, a colpi di munnezza. Le forze aeree nemiche erano concentrate a bombardare di pannolini gli invasori oltreconfine (e cioè noi) mentre le forze di terra (ossia tutti i bimbi del vicinato) erano responsabili della lenta ma inesorabile sparizione delle pietre che sostenevano la cinta, con conseguente collasso della stessa in più punti. E’ stata una lunga lotta, abbiamo opposto una strenua resistenza per tutto il tempo dell’assedio, ma alla fine siamo capitolati. E no, non è stato ne’ per il fuoco nemico ne’ a causa della sistematica privazione di sonno dovuta ai canti notturni dei tre disgraziatissimi galli da combattimento che, tra un allenamento e l’altro, avevano perso ritmi biologici e per questa ragione si svegliavano completamente a caso nel cuore della notte rantolando a volumi improponibili. La ragione per cui ci siamo spostati, in un certo senso, é stato “volere divino”. Perché ok la munnezza, ok i polli mannari, ma essere svegliati ogni SANTO (ed è proprio il caso di dirlo) giorno con una playlist di rock ispano-cattolico è improponibile. E anche se a questo punto vien da concludere che chi ha fede tutto può, alla conversione ho preferito il trasloco.

Amen.

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